Vik


Vittorio Arrigoni, soprannominato "Vik", nasce a Besana in Brianza il 4 febbraio 1975 e vive a Bulciago (Lc).
Le sue prime esperienze come volontario si svolgono principalmente nei Paesi dell’Est europeo e nell’Africa sub sahariana con l’Ong IBO, Soci Costruttori e lo YAP (Youth Action for Peace).
Nel 2002 raggiunge Gerusalemme Est per un primo campo di lavoro in Palestina e successivamente ritorna nei Territori Occupati dove, con altri compagni, inizia quella che diventerà la sua principale ragione di vita: la difesa dei diritti umani attraverso azioni pacifiche di interposizione, proteggendo i piccoli scolari davanti ai tank israeliani, i contadini nella raccolta delle olive, manifestando con i palestinesi contro il muro di separazione, aiutando gli anziani ad attraversare i check point.
Nel 2006 è in Congo, per le prime elezioni libere presidenziali dopo trent’anni, come Osservatore Internazionale con l’Associazione Beati i Costruttori di Pace di Padova accreditata dall’ONU e l’anno dopo è in Libano, nel campo profughi palestinesi di Beddawi.

Messo sulla lista nera degli indesiderabili da Israele che gli impedisce l’ingresso alle frontiere, dopo due tentativi di ingresso nel 2005, dove viene picchiato e incarcerato, entra a Gaza via mare il 23 agosto 2008 con le navi Liberty e Free Gaza, che rompono il blocco via mare che dal 1967 Israele impone alla Striscia. Con gli internazionali rimasti, dell’International Solidarity Mouvement accompagna i pescatori in mare e i contadini nei campi perché la loro presenza sia da deterrente alle navi da guerra e ai cecchini sulle torrette. Quando, il 27 dicembre 2008, Israele lancia l’operazione Piombo Fuso, Vittorio è l’unico italiano presente nella Striscia. E’ dappertutto: a raccogliere feriti, sulle ambulanze cecchinate, negli ospedali, ha visto morire gli amici e pianto le centinaia di bambini massacrati. Racconta i giorni della sanguinosa offensiva israeliana in articoli pubblicati da Il Manifesto, scritti in condizioni pressocchè impossibili. Raccolti in un libro “Gaza - Restiamo Umani”, i suoi racconti di Gaza sotto le bombe hanno permesso di conoscere cosa è accaduto veramente in quel lembo di terra palestinese. Vittorio è ritornato nella Striscia a marzo 2010. Con i compagni dell’ISM, continuando la sua missione di attivista per i diritti umani e di testimone, continuando a scriverne sul suo blog “Guerrilla Radio” e su PeaceReporter.

Vittorio è stato ucciso a Gaza il 15 aprile 2011, a soli 36 anni, da un presunto gruppo di estremisti salafiti.
Le motivazioni sono tuttora oscure.
Il processo si è concluso il 17 settembre 2012 con due condanne all’ergastolo.
La pena di morte non è stata comminata a seguito della precisa richiesta avanzata al Tribunale dai familiari di Vittorio.


Da uno scritto del maggio 2004 ad un'amica:

Vittorio in Congo

«Mi chiedi una lettera che in qualche modo presenti la mia persona, un segno tangibile che descriva il mio passaggio su questo mondo. Potrei riversarti sul capo cascate di parole e immagini sino a renderti stordita, cosa che per ora non intendo fare. Diciamo che ormai sono in viaggio da svariati anni. Un viaggio che più che intorno al globo si può identificare come all’interno dell’uomo. Mettendo a tacere ogni retorica e respingendo ogni modello di vita preconfezionato della nostra società malata, io ho deciso di dedicare molto del mio tempo e delle mie energie alla ricerca di verità nascoste, interessi inusuali, mettendo al setaccio quei luoghi dove la miseria e la guerra segnano per sempre, insegnando a perdere ogni speranza di pace, ogni diritto di equa esistenza. Ho assoggettato le regole della mia vita all’anarchia della mia anima, che di desueto confluisce nei normali ranghi che la società ci impone. Una volta svelato il trucco, ecco che il dolore e l’impazienza mi hanno dato lo sbocco per iniziare a viaggiare eseguendo attività di mero volontariato, circa 8 anni fa, ora che ne ho 29. Dopo una missione nella Croazia dei campi profughi, sono stato circa 4 mesi in Perù, a contribuire all’attività dell’OMG (“Operazione Mato Grosso”). Costruivamo scuole e laboratori di falegnameria per tirar via dalla strada i giovani, altrimenti destinati alla cerchia di lercia miseria e alcolismo che ha inghiottito la maggior parte degli adulti. Poi è stata la scoperta dello YAP e dell’IBO che mi ha spalancato le porte all’Est Europa, quell’Europa dimenticata e perdente, presa in considerazione solo ora come possibile nuovo mercato fruttifero (Ucraina, Polonia, Russia, Estonia, Repubblica Ceca ecc.). Ristrutturavamo infrastrutture ospedaliere, abbellivamo orfanotrofi, facevamo manutenzione a conventi che ospitavano senzatetto, centri sanitari per portatori di handicap, per bimbi resi di salute precaria dalle radiazioni di Chernobyl. Prima di questo, sono stato per i medesimi fini in un convento austriaco e in un centro per disabili in Belgio. Poi è arrivata l’Africa (Togo, Ghana, Tanzania), come una madre feconda che ha scoperto dentro di me risorse inesplicabili, sensazioni, colori, odori, emozioni e coinvolgimenti che erano persi nei recessi del mio spirito. Anche in questo caso, c’era sempre qualcosa per cui valeva la pena sudare sangue, un community center, un ostello, una cooperativa agricola nella quale portare il proprio supporto. Ho sempre pensato che oltre a lasciare un segno nelle anime delle persone, segno possibilmente indelebile, segno di umana passione, compassione, condivisione delle pene e infinita empatia, è necessario anche imprimere una traccia più fisica, visibile e che rimanga nel tempo, come la pietra angolare di un ospedale, le fondamenta di un orfanotrofio per bimbi tristemente rinnegati dal mondo. Il motore che mi ha spinto verso luoghi via via meno ospitali, a offrire la mia mano e la mia anima al servizio di opere benefiche, non è filantropia, né tantomeno il tanto vantato orgoglio di esibirsi come generosi, ma la mia nuda umiltà ordina di definirlo egoismo. Perché queste esperienze mi donano la pura essenza del vivere, che posso inquadrare in tre differenti fini o motivazioni. C’è un motivo culturale, elegante e volitivo, ed è quello che mischia alla sete di conoscenza, la constatazione che solo un’esperienza di volontariato può donarti (dal primo all’ultimo giorno dormi, lavori, mangi, fatichi, assorbi le sofferenze e ti esalti delle gioie improvvise, sempre a contatto con la popolazione locale, sempre al centro degli eventi e mai di contorno). Il fine umanitario è essenziale, non si può minimamente pensare, per esempio, di visitare l’Africa senza sporcarsi le mani di tutta la sua mortifera miseria, senza sentirsi bruciare arso dalla sete di giustizia, bucato lo stomaco dai morsi della fame. Bisogna allora lasciare tracce del proprio passaggio nei cuori, innanzitutto dei poveri incontrati e delle vittime di un’ingiusta guerra, mostrando loro come esiste un occidente alternativo, che si sa spogliare dei propri dettami culturali di superbia e arroganza, che sa porsi come accogliente ed empatico, lontano da ogni circuito di sfruttamento e via dalla macchina della guerra che succhia ogni riserva di soldi e di vite umane. Che porga le mani e non le ritragga sottraendo, ma che anzi sia in grado di porgere doni, che si mescola nell’anonimato per generare alleanza, sotto nessuna bandiera che non sia emblema di pace, solidarietà, convinta amicizia. Il motivo umano è quello.
Vittorio»


Gaza, 25 dicembre 2008:

Vittorio è da poco rientrato nella Striscia, dopo l’ennesima espulsione da parte di Israele

Vittorio tornato a Gaza

«E alla fine sono tornato.
Non sazio del silenzio d’assenzio di una felicità incolta
accollata come un cerotto mal riposto su di una bocca che urla.
Non potevo fare altrimenti.
Essere ferito, venir rapito, derubato della propria missione, incatenato e imprigionato in un lurido carcere israeliano,
quindi deportato a forza su di un aereo verso Milano
senza neanche la pietà di mettere ai miei piedi nudi e martoriati dalle catene un paio di scarpe,
non è certo la conclusione auspicabile per il compito solenne e di riscatto umano che ha impegnato gli ultimi mesi della mia barocca vita.
Il leone accumula stagioni e cicatrici,
non ha certo il passo slanciato di una volta,
ma non abbassa di un pelo la criniera.
Poggiando il primo piede sulla terra di Gaza, per la seconda volta, sbarcando, come un Armstrong esiliato,
ho ruggito, eccome,
devono esser tremati i vetri delle finestre pure a Tel Aviv.
Fiero del mio passato, non curante del mio presente.
Perché è questo il tempo di spendersi, piuttosto che accaparrarsi un futuro agiato e comodamente distorto,
a quelle vittime innocenti a cui non abbiamo concesso neanche l’ascolto, per un attimo,
delle loro grida di dolore.
Spendersi affinché ogni diritto umano sia rispettato.
Tutto il resto non ha più importanza, semmai ne abbia mai avuta una.
Bisogna saper riconoscere la matrice della propria anima,
anche se ciò è spaventevole e significa solitudine, ostracismo, utopia, Don Chisciotte,
ingratitudine anche da chi verso cui si è dato tanto, si è speso tutto.
Ad aspettare nel fuoco si rischia di bruciarsi.
Ecco allora il perché della scelta dei miserabili, dei reietti, dei condannati,
essi sono ancora capaci di lealtà, di gesta aggraziate e di generosità audace, alle soglie della fine del mondo.
Reietto e miserabile la vita mi ci ha costretto,
sono tornato a casa.
Natale a Gaza pare un funerale.
E non esclusivamente perchè oggi ad un funerale effettivamente ci sono stato,
il vicino di casa di Fida, nostra coordinatrice ISM,
è stato ridotto in brandelli, in tanti piccoli pezzettini di carne lacera da un colpo di carroarmato israeliano.
Piove lacrime amare il cielo di Gaza in questi giorni di lutto e terrorismo da oltreconfine.
Si ascoltano i rutti delle minacce di imminente strage da Lvni e si trema dal freddo
(senza + gas, senza + gasolio, senza + energia elettrica).
Si odono i cingoli di Netanyahu sulle ossa dei palestinesi ammazzati ieri e di quelli a venire.
Lvni e Netanyahu in marcia funebre verso le prossime elezioni israeliane,
il teorema è semplicistico, ma purtroppo realistico,
vincerà chi porterà in dote ai propri elettori più teste palestinesi mozzate.
One head one vote.
A Gaza è come se si fosse in autunno,
e io sono nato sotto il segno dell’autunno.
Per cui se fuori piove,
perdonatemi,
a volte piove anche dentro.
Restiamo umani.
Vostro Vik dalle tenebre dell’assedio.»


Una lettera di Vittorio del 02 marzo 2009 letta da Valerio Mastandrea: